Intervista a Sonia Coluccelli, formatrice di Fondazione Montessori per l’Area Migrazione e Diritto d’asilo

Tutto è nato dalla spinta a innovare, ancora, i progetti educativi per gli utenti stranieri in accoglienza nell’area Migrazione e diritto d’asilo della Cooperativa. Persone con bisogni peculiari, giovani adulti provenienti da un altro mondo, geografico e culturale; spesso analfabeti anche nel loro contesto di origine o con una scolarizzazione limitata. Tutti elementi che qui ne fanno soggetti particolarmente fragili, con poche opportunità di accesso alle conoscenze, alle informazioni, al mercato del lavoro e di integrazione.

Negli anni il gruppo di lavoro ha investito tempo e risorse per riuscire a inquadrare i bisogni di questi utenti e fornire attività di sostegno all’apprendimento e allo sviluppo di abilità di base. Eppure, nonostante l’impegno profuso, resta l’impressione che l’intervento educativo possa essere più efficace e che gli utenti non colgano l’utilità di questo accompagnamento e non ne sfruttino al meglio le potenzialità.

Con queste domande ed esigenze, il team educativo si è affacciato alla pedagogia montessoriana, in cerca di strumenti teorici e concreti per facilitare i processi di apprendimento e di integrazione in contesti multiculturali. Ne è nata una formazione che fra 2021 e 2022 ha coinvolto alcune figure del team educativo, curata da Sonia Coluccelli, insegnante di scuola primaria, responsabile Formazione di Fondazione Montessori Italia (realtà impegnata a diffondere la conoscenza delle opere e del pensiero di Maria Montessori e delle pratiche educative a lei ispirate e a innovare tali pratiche, applicandole al contesto sociale, culturale ed economico attuale) e autrice fra altri saggi di Il metodo Montessori nei contesti multiculturali. Esperienze e buone pratiche dalla scuola dell’infanzia all’età adulta (Erickson, 2020).

A Sonia Coluccelli abbiamo chiesto di spiegarci in che modo e perché l’approccio Montessori può essere una chiave educativa efficace con gli adulti stranieri. Un target molto diverso dai bambini (italofoni) che abitualmente associamo al metodo.

“È vero che Maria Montessori si è occupata prevalentemente di bambini, e soprattutto di bambini piccoli da 3 a 6 anni. Però Maria Montessori ci parla di una ‘lunga infanzia umana’, immaginando il nostro percorso di autoeducazione come un processo di costruzione di se stessi che continua in età adulta. Questo percorso passa attraverso una serie di esperienze che in alcune fasi sono più facilmente utilizzabili, perché il bambino è più ‘spugnoso’ rispetto agli stimoli, ma il meccanismo di costruzione del proprio sapere e della propria persona dura tutta la vita, considerata appunto come una lunga infanzia umana. Non stiamo, quindi, facendo un’operazione troppo avventurosa quando applichiamo all’età adulta l’approccio Montessori e l’idea, che gli è propria, che ognuno di noi si autoeduchi, ovvero sia il diretto costruttore delle proprie conoscenze e non un recettore, come le scuole di tutto il mondo tendono a proporre” spiega Coluccelli.

“Aggiungo che trovo molto vicina al pensiero montessoriano la cura nei confronti dei più fragili: l’esperienza di Maria Montessori è sì sui bambini, ma su bambini con difficoltà di apprendimento particolarmente marcate. Il suo è uno studio della mente del bambino in situazioni di grande privazione: la prima scuola di Maria Montessori apre a San Lorenzo, un quartiere di Roma popolato di analfabeti, adulti e bambini, e segnato dalla miseria. Credo che il compito montessoriano attualmente sia la cura del diritto ad apprendere di tutti, ma con una particolare precedenza a chi ha meno opportunità di farlo in condizioni favorevoli di partenza. L’evoluzione della vicenda montessoriana è stata elitaria, borghese, e ha dato vita a scuole private e costose per una certa fascia di popolazione, ma Montessori parte da una realtà molto diversa, dagli ultimi, e da quartieri ghetto che oggi sarebbero i quartieri multietnici delle nostre grandi città.”

Quali sono gli elementi dell’approccio Montessori più utili nell’educazione degli adulti?

“L’aspetto più interessante da portare in età adulta, a mio parere, è la libera scelta montessoriana, ovvero l’idea che sono io a scegliere su cosa esercitarmi, lavorare e tornare a concentrarmi, chiedendo a me stesso su che cosa ho maggiore difficoltà. Un’idea, questa di poter orientare il proprio esercizio in termini di apprendimento, che a pensarci bene appartiene più all’età adulta che a quella infantile.

Efficace risulta anche l’elemento dell’autocorrezione: la gran parte delle attività e degli strumenti proposti nel metodo non prevede una correzione dall’esterno da parte di un insegnante, ma porta già in sé elementi di correzione.

E forse ancora più importante è lo spazio lasciato alla manipolazione. L’approccio Montessori anticipa l’astrazione attraverso un passaggio sensoriale: prima tocco i concetti e poi gli do un nome. Questo avviene attraverso una serie di materiali che posso utilizzare anche senza conoscere la lingua italiana, e che non prevedono quindi l’astrazione linguistica, ma permettono di capire concetti e meccanismi in maniera più immediata. Il vantaggio per una persona non italofona è evidente. Se posso fare un calcolo senza che qualcuno me lo debba spiegare in italiano, ma attraverso un materiale strutturato che manipolo e che mi permette di vedere immediatamente l’errore senza aspettare che sia il docente a segnalarmelo, e che posso usare e riusare finché non l’ho acquisito perché la lezione – come prevede il metodo Montessori – non è strutturata con scansioni temporali rigide, il percorso di apprendimento viene sgomberato di molti ostacoli.

La difficoltà diventa però culturale: la scuola nella mente dei nostri studenti – adulti immigrati – è un luogo dove c’è una cattedra e un insegnante che dà esercizi e corregge. Di fronte a qualsiasi modalità più attiva, tendono a sorgere resistenze: Non sono mica venuto qui a giocare! Questo succede anche nella scuola primaria: nelle scuole italiane che adottano un approccio Montessori o un qualsiasi approccio attivo, i genitori muovono spesso la stessa obiezione, figuriamoci un sedicenne centroasiatico che a scuola si aspetta di risolvere esigenze fondamentali e urgenti. Ne abbiamo discusso molto durante il corso: come possiamo dare valore di serietà alla proposta educativa utilizzando modalità che culturalmente non sono associate all’idea di scuola e materiali che, nonostante i tanti vantaggi che presentano per persone non italofone e poco o affatto scolarizzate, richiamano nell’aspetto e nell’uso al mondo dell’infanzia?”

Ci sono esperienze interessanti nel nostro paese di Montessori per stranieri?

“Il connubio più felice ed efficace fra approccio Montessori e educazione di adulti stranieri l’ho trovato nel centro interculturale Asinitas, a Roma, dove lavorano con donne e uomini di diverse provenienze, in molti casi analfabeti. Lì l’approccio Montessori si innesta su un modo di lavorare che è dichiaratamente impostato in maniera ludica e narrativa e rinuncia fin dall’inizio alla cornice ‘scuola’.

In Italia ci sono esperimenti interessanti e positivi in scuole pubbliche spiccatamente multiculturali, dove proprio per l’alto tasso di alunni stranieri si è scelto di avviare il metodo (in alcuni casi con l’effetto secondario di attrarre famiglie italiane in quelle che erano diventate ‘scuole ghetto’). Oltre ad altri vantaggi, l’importanza attribuita all’esperienza sensoriale elimina molte delle disparità che caratterizzano i contesti scolastici multietnici: dove la lingua è l’unico veicolo, il bambino straniero non italofono si trova sempre indietro rispetto ai compagni che hanno dimestichezza con l’italiano. In queste situazioni, il metodo Montessori contribuisce a rendere il gruppo più omogeneo e a valorizzare le diverse competenze a prescindere dal tramite linguistico.”