Come sopravvivere
alla pandemia con bambini da 0 a 3 anni.

Intervista ad Alberto Pellai

Degli effetti della pandemia sui più giovani si è discusso molto. Il diritto allo studio negato, il rischio di isolamento, il mancato confronto con i pari, le tappe mancate in un percorso di crescita equilibrato.
Degli effetti della quarantena e del distanziamento sociale sui bambini piccoli, da 0 a 3 anni, la fascia d’età che ogni giorno accogliamo al nido, si è discusso decisamente meno. Ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore all’Università degli Studi di Milano e autore recentemente del libro “Mentre la tempesta colpiva forte“, dedicato proprio ai vissuti familiari durante il lockdown.
“Da un lato, i piccolissimi hanno sofferto meno di altri questo cambio radicale di copione – ci spiega.– Molti hanno guadagnato un maggior coinvolgimento delle figure di attaccamento nella loro vita. Sappiamo che il bisogno più grande per i bambini fino a tre anni è respirare protezione e sicurezza. E’ a partire da questa età che la socialità diventa una priorità proprio in termini di sfide evolutive.
“L’emergenza che stiamo attraversando, però, entra nelle vite dei bambini attraverso gli sguardi, le parole e il senso di protezione che provano i loro stessi genitori. E’ questo che può essere stato faticoso per i piccoli: un tempo di precarietà e fragilità che impatta con forza sul senso di sicurezza, compattezza, capacità e autoefficacia dei loro genitori può tradursi nel mondo interiore del bambino in una perdita di sicurezza. Potremmo porre la questione in questi termini. I bambini così piccoli vivono a specchio ciò che avviene nel mondo interiore dei loro genitori. Se un genitore è molto stanco, sente che le sue sicurezze sono in pericolo, questa incertezza ritorna addosso al bambino, assumendo confini e proporzioni diversi.”
Lo sguardo, quindi, va rivolto agli adulti, prima che ai piccoli. Cosa chiedere a se stessi, allora, per essere genitori efficaci in questa situazione? “Dobbiamo osservare dove è posizionato il nostro baricentro emotivo in questo momento così particolare: capire che cosa riusciamo a dire di noi stessi a noi stessi, e a pensare di noi stessi. Se guardandoci in maniera aperta ci sentiamo in una zona precaria e vulnerabile, allora diventa automatico il bisogno di chiedere aiuto. E oggi la richiesta di aiuto può essere una richiesta di condivisione. Serve tanto ai genitori, in questo tempo di distanziamento fisico, comprendere che non sono soli, che tutto questo non sta capitando solo a loro. E ricordare che è destinato a finire, anche se non sappiamo quando, che non sarà la nostra normalità.
“Un elemento che secondo me non è mai passato nelle informazioni e nei consigli rivolti ai genitori è proporre un gemellaggio fra famiglie. Soprattutto per chi si sente sopraffatto, l’ideale sarebbe stringere relazioni con una famiglia, e una sola, che più o meno sia nella stessa fase di sviluppo del bambino. Una famiglia con cui sente di avere anche una sintonia, una vicinanza o un legame. E’ come creare una sorta di famiglia allargata: di due famiglie ne facciamo una un po’ più grande. Dal punto di vista della prevenzione del contagio è una soluzione rispettosa, perché non stiamo moltiplicando le frequentazioni. Generiamo invece un sistema solidale nel quale, fra l’altro, ci troviamo nello stesso momento di bisogno e di sfide evolutive. Un’idea può essere tenere un pomeriggio alla settimana il bambino dell’altra famiglia e viceversa . Questo facilita anche l’acquisizione di competenze sociali per i bambini che non frequentano il nido”.
Competenze che, da quanto hanno raccontato tante famiglie al rientro, durante il lockdown sono andate in crisi, insieme ad autonomie che sembravano ormai consolidate.
“Non frequentando il nido per un periodo così prolungato, le autonomie acquisite possono facilmente vacillare. Al nido tali competenze vengono conquistate in un ambiente che dà dei rinforzi sociali. Il motivo per cui i bambini al nido crescono tanto è proprio ‘l’educazione fra pari’: i piccoli si sintonizzano sui comportamenti che vedono messi in atto dai coetanei, e piano piano li assimilano e li accomodano dentro di sé.
“Oltre a restituire ai bambini un minimo di socialità, il gemellaggio con un’altra famiglia solleva i genitori dall’accudimento del bambino per qualche ora alla settimana, alimentando una carica rigenerante che in un periodo come questo è un bene ancora più raro e prezioso e aiuta ad allentare quel senso di claustrofobia che in parte proviamo anche ora”.